Brioche vendéenne salata ripiena

ovvero piccole brioche/babà ripieni di fegatini di pollo alla toscana

per Paqua si poteva non panificare? e insieme alle altre panificazioni sono usciti questi piccoli babà di brioche vendéenne salata ripiena di fegatini di pollo.

Brioche vendéenne salata ripiena

Non è per niente, Afterhours

la pasticceria francese ha sempre avuto un fascino particolare, amo i lievitati francesi, sono leggeri e leggiadri come questa brioche vendéenne.

riempirla con del “salato” è stata una bella storia.

per il pranzo di Pasqua, quello canonino con 18 portate, in allegria, in famiglia, fra risate e le famose 18 portate….

e quelli che odiano le feste comandate: perchè?

forse perchè avete la sfortuna di non avere una famiglia, una bella famiglia. io sono stata fortunata sotto questo punto di vista, ho sempre avuto una famiglia solida, sedimentata, appassionata.

non che non ci siano stati dissidi ma li abbiamo superati sempre insieme, magari davanti alla tavola del pranzo di Natale o di Pasqua. a cominciare dal tacchino intero infilato nel forno (preso a martellate per abbassare lo sterno perchè era spesso più alto del forno e bisognava infilarcelo in qualche modo) o le noci che contavano come fiches per giocare a poker o erano la posta dello scopone scientifico del pomeriggio, in attesa della cena.

la cena, quella in cui tutti dicevano, subito dopo pranzo, che non avrebbero mangiato niente perchè erano “troppo pieni” e che invece “non li vuoi mangiare due capellini d’angelo in brodo?”

e anche quest’anno la tradizione pasquale è stata rispettata: uova sode benedette (con il reiki), brodo e tortellini, arrosto e panificazione.

io, nemmeno a farlo apposta, ero l’addetta alla panificazione e a un pezzetto di antipasto, e questo è stato

la ricetta della brioche la trovate da Francesca, ricetta perfetta direi ma io ve la riscrivo comunque.

Brioche vendéenne salata ripiena

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dipingere con la macchina fotografica, CLICK4FOOD, 81esima mostra dell’Artigianato a Firenze

 

gine e lore bn DSC_7165 tandoorii miei gioielli più belli

 

FRANCESCO RENGA – nuova luce

 

la colpa è sua che mi fa venire voglia di

dipingere con la macchina fotografica

 

una vita fa, quando non avevo ancora figli, casa e tutto l’ambaradan, dipingevo. mi è sempre piaciuto disegnare, imbrattare, mi rilassava e mi compensava, buttavo fuori tutto quello che sentivo, dipingevo i miei alberi con gli acquerelli, con i colori ad olio, con le tempere. oppure disegnavo. spesso quando tornavo a casa a tarda notte mi infilavo le cuffie, mi sparavo la musica nelle orecchie, spaziando dalla Pastorale di Beethoven   ai Pink Floyd, o gli U2, o i Depeche Mode o altro ancora e mi immergevo nei miei disegni. non poche volte mi sono ritrovata ad andare a letto alle 5 di mattina e ad alzarmi alle 7.30 per andare a lavorare, con gli occhi pesti di sonno ma felice.

poi, con l’avvento dei marmocchi non si poteva fare più. come si fa a mettersi a dipingere fra una poppata e l’altra, fra una lavatrice e una cena da prepare? non si hanno le forze. e allora mi sono ricordata della vecchia reflex, quella ancora con la pellicola  e le foto da stampare, quella che ti dovevi ricordare le combinazioni iso-diaframma-tempo per fare una foto decente. e allora partivo con la famiglia per passeggiate portandomi dietro la vecchia Canon infilata nella borsa fra  le merende, i ciucci e le bottiglie d’acqua per il rifocillo.

e sono tornati i miei alberi. il quercione secolare (si vocifera che abbia più di mezzo secolo) al rondò in cima alla strada, gli alberi che affondano le fronde sul fiume al vecchio mulino, i peri selvatici fioriti, i cipressi, eleganti e solitari, i fiori colorati della primavera.

adesso dipingo con la mia ragazza,

una normalissima Nikon D3200, e fermo frammenti di primavera, piccoli sentimenti, attimi di leggerezza, nebbie nostalgiche e cibo. e cerco sempre di mettere un’emozione dentro una foto, che si tratti di un pane, di un fiore o di una bottiglia di vino. e spesso le mie foto sono “sbagliate”, tecnicamente sbagliate pur sapendo che a lei, alla ragazza, basta dirgli che programma usare e lei sistemerà il resto. se scegli il P tu scegli l’apertura del diaframma lei pensa al tempo o viceversa…. ma è sempre un po’ come dipingere.

sistemare il pane, accostare le farine, scegliere un fiore per fare colore, la tavola per la base, quella per lo sfondo,  la luce di questa o quest’altra finestra, un piatto, una forchetta, insomma, sistemare la foto da fare come fosse un dipinto, un sentimento, un’idea.

e non mi piace postprodurre, pur avendo programmi di postproduzione anche famosi, non amo postprodurre perchè secondo me spariscono i sentimenti, via via che sistemi le luci giuste, evidenzi i colori, scolorisci le ombre spariscono le emozioni dell’attimo. e allora le lascio sbagliate, le lascio quasi in versione originale, magari sistemo solo l’esposiozione un pochino ma lascio fare il resto, lascio i difetti, gli errori, i minuzzoli sul tavolo, le sbavature e le ombre troppo profonde, le mani che si intravedono sullo sfondo e i riflessi.

perchè le foto sono diventati i miei quadri,  foto- (dal greco φῶς, φωτός, luce) e –grafia (dal greco γραϕία, scrittura). scrivere con la luce. e scusate se ogni tanto rompo.

venite a parlare con me Venerdì 28 aprile 2017 alle ore 16.30, nello spazio delle Delizie di Leonardo Romanelli alla 81esima  Mostra dell’Artigianato di Firenze, sarò ospite di

– Storie ed esperienze

quindi, per oggi niente ricette, niente cibo, solo sentimenti

 

i fiori delle piante grasse riescono sempre a stupirmi,

“dopo la pioggia”

fiori g. DSC_8429 tandoori

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