Panis Siligineus Flores: il pane come lo mangiavano a Pompei – Panissimo#25

 

Panis Siligineus Flores: il pane come lo mangiavano a Pompei

il pane come lo mangiavano a Pompei, come lo mangiavano i romani.
il pane  già un alimento usato dagli uomini del neolitico, nei primi insediamenti stabili.
la raccolta dei cereali selvatici, la scelta, la macinazione fra due pietre e l’impasto con acqua.
in seguito, forse scoperta per caso, la cottura su pietre calde, vicino ad un fuoco,  fino ad arrivare all’idea del forno.
il lievito, nato con molta probabilità in Egitto, per caso, per errore, accorgendosi che se si lasciava l’impasto di farine e acque del Nilo fermo a riposare per un giorno intero si formavano all’interno bolle di gas che non riuscendo ad uscire  rendevano il pane più soffice.
e i romani, con un pane per ogni giorno, un nome per ogni tipo di farina.
il pane nell’era di Roma, per la precisione a Pompei.
prima della famosa eruzione del Vesuvio che ha fermato al 79 d.c. una intera città cristallizzandola nelle sue più intime e segrete parti, Pompei contava 34 panificatori, i più grandi con 3 macine a pietra e pietra lavica per la cottura in forno e altri invece con una sola macina, piccole botteghe artigiane.
tanti erano i tipi di pane presenti in città e nelle campagne.

il panis siligineus flores,

da Siliga, farina raffinata, la farina pregiata, la farina bianca  dei nobili, da qui siligineus.  rotondo, diviso in 8 spicchi in modo da poterlo spezzare con le mani ancora caldo fumante di forno.
il panis artolaganus era il pane delle feste. con canditi, miele, olio, vino e ortaggi dentro l’impasto era un pane assai ricco.

come ricco era il panis cibarius, allungato e prodotto con farine setacciate di orzo e farro, il secondarius, plebeius, rusticus, a seconda del grado di macinazione della farina.
il panis furfureus, l’equivalente dei nostri  croccantini per  cani, prodotto con la crusca.
il panis secundarius, forma allungata e prodotto con farina integrale
il panis buccellatus , un pane che veniva asciugato, biscottato che aveva una cottura ed una asciugatura in forno caldo, quasi le nostre fette biscottate
il panis adipatus, farcito con lardo, una pane scuro, destinato alla plebe
il panis militaris castrensis, per i soldati, il panis nauticus, per i marinai, gallette a lunga conservazione.
il panis autopyrus, integrale, il panis pathicus o acquaticus spugnoso e in grado di assorbire maggior quantità di acqua.
nelle zone rurali oltre ai cereali negli impasti si includevano ghiande, castagne, leguminose.
e poi schiacciate, focacce condite con olio e rosmarino e olive.
diversi anche i tipi di cottura: sotto la cenere, nel forno tradizionale, a induzione oppure in una pignatta: al momento di servire il pane la pignatta veniva rotta per liberare il prodotto.

veramente affascinante, pensare che già da 7000 anni fa il pane era già elemento fondamentale per l’alimentazione umana.
per esempio, sapevate che il termine tutt’oggi in uso della parola farina è originato da  farrina, ovvero il prodotto della macinazione del farro?
di questi pani  parla Plinio il Vecchio nel XVIII libro del suo trattato Naturalis Historia.

per questa nuova ricerca, per questo nuovo spunto in realtà devo ringraziare lui, Lorenzo. da quando ho visto una pubblicazione sul gruppo di Panissimissimo di Lorenzo Soldini (in fondo al post la ricetta originale di Lorenzo in latino….) il panis siligineus flores, versione moderna non ho avuto pace: ho dovuto provare. ringrazio per la pazienza che ha avuto nel sopportarmi e nel supportarmi durante la prova generale di realizzazione. è stato un vero e generoso amico: ha condiviso link, informazioni, immagini, idee.

ho sempre avuto una passione per la storia antica e quando ho realizzato che potevo provare a rifare il pane come lo facevano i romani della Roma Caput Mundi, beh, una certa emozione mi ha assalito.
e siccome avevo tutto pronto, guarda che combinazione, ho impastato immediatamente un panis siligineus flores con immenso piacere.
e voi mi dovevate vedere mentre zompettavo in cucina, davanti al forno mentre guardavo lievitare e salire questo pane antico, meraviglioso, romantico e intimamente mio.

per Panissimo di Gennaio 2015, la raccolta n. #24, questo mese

ancora da me in attesa del nuovo sito della 

Barbara,  Bread & Companatico

vi invito a provvedere subito a panificare ed inviare!
e se volete trovate e fate anche voi un pane antico, uno delle nostre ancestrali radici, suvvia, so che ce la potete fare.

 

e anche dalla nostra gemellata polacca, Zalapach Chleba,   per la sua raccolta mensile

inserite le vostre ricette qua sotto la rana blu

 

 

Panis Siligineus Flores: il pane come lo mangiavano a Pompei

panis siligineus flores




gli ingredienti:
la mia ricetta 
300 g. farina di farro 
200 g. semola di grano duro rimacinata
200 g. farina tipo 0 di grano tenero
50 g. di farina di grano arso Molino Rossetto
500 g. licoli rinfrescato due volte
400 g. acqua
(la q.tà di acqua varierà a seconda dell’assorbimento delle vostre farine)
Panis Siligineus Flores: il pane come lo mangiavano a Pompei

 

il procedimento:
setacciare le farine e mischiarle
sciogliere bene l’acqua con il licoli
aggiungere gradatamente le farine ed impastare fino
ad ottenere un impasto liscio ed elastico
effettuare un giro di S & F
lasciar riposare l’impasto coperto a cupola per
30 minuti
fare due giri  di pieghe a 3 senza stringere
e lasciar riposare ancora per 30 minuti
effettuare un altro giro di pieghe e mettere a lievitare
in un cestino da lievitazione
lasciar lievitare in zona con calore costante tra
i 25 e i 28°C
quando la lievitazione sarà giusta al giusto
grado (se premete un ditino sull’impasto e questo torna
a posto la lievitazione è perfetta) ribaltate
l’impasto in una tortiera apribile infarinata e
con un raschietto incidete in otto spicchi
incidete fino in fondo il pane in modo che sia
quasi tagliato
cottura:
10 minuti a 250°C
20 minuti a  200°C
togliere l’anello della tortiera e finire di cuocer
35 minuti a 180°C
10 minuti con forno fessurato
lasciare il pane su una griglia fuori dal forno a
raffreddare ed fermarsi ad ascoltare la sua canzone
della crosta calda  che scricchiola a contatto con l’aria fresca

la magia è di nuovo compiuta

Panis Siligineus Flores: il pane come lo mangiavano a Pompei

 

NOTE:
forse sarebbe stato opportuno fare una doppia lievitazione ma io ero talmente presa che non ho avuto la pazienza di aspettare, il prossimo sarà fatto a regola d’arte
bella l’idea del pane che si spezza con le mani, praticissima, questi romani erano astuti (mica per niente!)

questa la ricetta di Lorenzo


Panis Siligineus Flore

2 libre siligo “triticum aestivum”
13 once aqua viva
44 drachme fermentum
3 drachme mel
6 drachme granum salis
650 gr farina di GT di tipo 0
360 gr acqua a TA
150 gr Licoli
7 gr malto diastasico
18 gr sale iodato fino

Autolisi di 1 ora con tutta la farina e 300 gr di acqua
Impasto di tutti gli ingredienti
dopo 5 minuti inserire il sale
Incordatura
Lasciare riposare sul piano di lavoro, coperto a campana con una ciotola.
( o dentro una ciotola unta d’olio coperta con pellicola )
Fare due giri di pieghe a tre a 30, 60 e 90 minuti dall’impasto. A 3 ore , formare la pagnotta pirlando delicatamente.
Far lievitare fino al raddoppio del volume, 3/4 ore dipende dalla temperatura, sulla placca rivestita con carta forno oppure su una tavola di legno ben spolverata con semola di GD rimacinata … coperta con una ciotola capiente o con il coperchio di un porta torte da 28/32 cm il quale essendo trasparente permette di apprezzare la lievitazione in tempo reale.
Incidere i 4 tagli trasversali a croce
Infornare mettendo la placca sopra la gratella oppure facendo scivolare il pane sopra la refrattaria.
Cuocere per 1 ora complessiva, a forno statico a 200 gradi per 30 minuti poi 180 gradi per altri 30 minuti di cui gli ultimi 10 a spiffero ventilato ed oltre il pentolino per 15 minuti ho anche spruzzato acqua per 3 volte ogni 5 minuti Lasciare raffreddare su una gratella prima di tagliare.

 

Panis Siligineus Flores: il pane come lo mangiavano a Pompei

fonti utilizzate
Lorenzo Soldini , ispiratore e fonte di notizie primaria
I pani di Pompei 
pani nell’antica Roma

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la fine nella terra di mezzo – quasi ramen

 

Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati                       

 Bertol Brecht 

 

 

David Sylvian, Small metal gods
testo originale  e traduzione in fondo alla pagina

tutto quello che inizia  ha anche una fine
quando vivi l’inizio non pensi certo a come sarà la fine, non puoi pensarci.
quando c’è il sole non puoi pensare a quando ci saranno le nuvole, non è nella nostra natura, non puoi preoccuparti troppo di quello che verrà, sarà l’istinto di sopravvivenza.
eppure lo sai che c’è anche una fine.
certo che lo sai, ma fai di tutto per rimandarla
a volte è più facile nascondere la testa sotto la sabbia e far finta che vada tutto bene, ma lo sai, i conti sono solo rimandati.
ecco, io sono a fare i conti.
nella terra di mezzo, nè carne nè pesce, un cane sciolto, ramingo e solitario.
e qui si potrebbe partire con tutte le solite frasi fatte: domani è un altro giorno, si chiude una porta e si apre un portone, morto un papa si rifà un papa e un cardinale….
ma non è così. i conti fanno male e nonostante tutte le armature che ti costruisci addosso, tutte le corazze, tutte le attenzione non riesci a pararli tutti i colpi.

e quelli che arrivano arrivano giù duro, ti lasciano senza fiato. annaspi. boccheggi.

mi aspettano giorni difficili, mi aspettano ore infinite.
perchè è con il passare del tempo che la fine diventa sempre più certa e più reale. tangibile. ne prenderò coscienza forse domani o dopo.
adesso è solo buio, non ci sono elfi dorati nella terra di mezzo, c’è solo un gran silenzio e un buio che spaventa.
e ci si sente soli, dolorosamente soli, nella terra di mezzo.
eppure….. eppure senti quella vocina dentro che ti dice: coraggio, avanti, andrà tutto bene….. sarà istinto di sopravvivenza anche quella?

 

quasi ramen

e così anche questa ricetta, nè carne nè pesce, un quasi ramen nato per caso, per scherzo, volendo per forza adoperare una confezione di noodle trovata in dispensa.
una ricetta assolutamente di fantasia, deliberatamente chiamata ramen, chiedo scusa a tutti gli amanti del piatto giapponese, non  voletemene  per questa rielaborazzione parecchio fantasiosa.

per due persone

per il brodo di pesce ed alghe
pomodoro – 1
bietola – 2 foglie con coste
cipolla – 1 media
carote – 1 piccola
sedano – 1 costa
alghe miste secche  – 1 cucchiano
ginger – 1 fettina
carapaci di code di gambero – una decina
sale
mettere tutte le verdure a bollire in una capiente
pentola con un paio di libri di acqua e lasciar
sobbollire lentamente per un’oretta in modo che il brodo
si restringa dolcemente
aggiustate di sale
per le verdure
porro – 1
carota – 2 medie
cavolo cinese affettato fine – mezzo cespo
aglio – 1 spiccio
15 code di gambero
in uno wok far soffriggere l’aglio in camicia e
schiacciato per qualche secondo in olio extra vergine di oliva
aggiungere le verdure affettate finemente e condire con
salsa di soia e sale
far arrosolare a fuoco brillante
quando le verdure saranno cotte aggiungete il brodo ottenuto
(filtrandolo dalle verdure) e aggiungete  le code di gambero
cuocete i noodle (80 g.) a fuoco dolce e
servite con amore
quasi ramen

confido in un migliore 2015 e vi lascio i miei più cari auguri di buone cose.
che la vita sia con noi, sempre e comunque.

David Sylvian, Small metal gods 

Small metal godsPiccoli Dei di metallo
It’s the farthest place I’ve ever been
It’s a new frontier for me
And you balance things like you wouldn’t believe
When you should just let things be
Yes, you juggle things ‘cause you can’t lose sight
Of the wretched storyline
It’s the narrative that must go on
Until the end of time
And you’re guilty of some self neglet
And the mind unravels for days
I’ve told you once, yes a thousand times
I’m better off this way (2 times)
Where’s my queen of hearts, my royal flush
I have cleaned and scrubbed her decks
My suicide, my better days, there’s nothing I regret
I’ve placed the gods in a Ziplock bag
I’ve put them in a drawer
They’ve refused my prayers for the umpteenth time
So I’m evening up the score
Small metal Gods from a casting line
From a factory in Mumbai
Some manual labourer’s bread and butter
And a single minded lie
Small metal Gods, cheap souvenirs
You’ve abandoned me for sure
I’m dumping you, my childish things
I’m evening up the score
È il posto più lontano in cui sia mai stato
Per me è una nuova frontiera
Tieni le cose in equilibrio come mai avresti pensato
Mentre dovresti semplicemente lasciarle andare
Si, ti destreggi con quelle cose perché non puoi perdere di vista la pessima trama
È il romanzo che deve andare avanti
fino alla fine
e sei colpevole di una certa auto-negligenza
e la mente si schiarisce per giorni
te l’ho detto una volta, si un migliaio di volte
sto meglio così
dov’è la mia regina di cuori, la mia scala reale
ho pulito e lucidato i suoi mazzi
il mio suicidio, i miei giorni migliori, non rimpiango nulla
ho messo gli dei in una borsa con la lampo
li ho messi in cassetto
hanno rifiutato le mie preghiere per l’ennesima volta
così vado a pari
Piccoli dei di metallo, di una linea di produzione
Di una fabbrica a Mumbai
Indispensabili per dei lavoratori manuali
Ed una decisa bugia
Piccoli dei di metallo, souvenir da poco prezzo
Di sicuro mi avete abbandonato
Mi sto liberando di voi, delle mie sciocchezze infantili
Così pareggio il conto
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Pandoro a lievitazione naturale e i miei primi cinquant’anni

dice un proverbio:

sbagliando si impara….. 

Pandoro a lievitazione naturale con pasta madre

ebbene si, oggi compio mezzo secolo
certo che detto così fa un certo effetto,
 ma fa un certo effetto anche pensarlo scritto,
ma fa un certo effetto pensare di averli davvero vissuti
questi 50 anni.
un soffio, un battibaleno, un battito di ciglia.
e ti ritrovi con un’anima da bambina intrappolata in un corpo che invecchia
e ti guardi nello specchio e ci provi con tutta te stessa a riconoscerti
 ma quello che c’è dentro non corrisponde con quello che si vede  fuori.
le rughe, le famose zampe di gallina intorno agli occhi,
la palpebra che lentamente ed inesorabilmente cala,
 le “voragini” d’espressione, perché qualcuna non è una ruga:
è davvero una voragine, un cratere.
e vorrei essere sulla faccia nascosta della luna,
nel mare della tranquillità, a sorseggiare un tè in assenza di gravità
per festeggiare i miei primi cinquant’anni,
in intimità con me stessa senza clamori o grandi festeggiamenti.
lo so che non sono proprio normale,
c’è chi organizza feste per festeggiare il tempo che passa, io no.
festeggiare il tempo che passa è una barbarie….
comunque, grazie alle MIE persone, grazie a tutti quelli che mi stanno accanto,
 che mi sopportano, che mi supportano
e che mi vogliono bene,
mi rendo conto che non è facile voler bene a una tipa come me!
leggete anche gli auguri di una MIA  amica speciale ,
dentro quelle parole ci sono pezzettini di me
…..e per festeggiare mi sono fatta e mangiata un ….

Pandoro a lievitazione naturale  con pasta madre



ricetta della  mitica Silvia, quella dei babà. la mia certezza, la mia maestra, la mia amica

Pandoro a lievitazione naturale con pasta madre
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