c’è stato un tempo, in Italia, in cui bisognava arrangiarsi per mettere insieme un pasto.
c’è stato un tempo in cui non si poteva scartare nessun alimento commestibile, tutto veniva usato e niente sprecato.
c’è stato un tempo, in Italia, in cui le donne si inventavano il modo di mettere insieme il pranzo con la cena, giorno dopo giorno.
quei giorni, che potrebbero sembrare lontani, speriamo non tornino mai.
speriamo non tornino mai, ma purtroppo le file alla caritas si allungano, i disoccupati aumentano, i problemi crescono, il malaffare impera.
in questo nostro bellissimo paese, e lo dico con una stretta al cuore,
in questo nostro bellissimo paese, ricco di storia, culla della civiltà,
in questo nostro bellissimo paese, dove ogni angolo è uno scorcio bellissimo,
dove un campo di grano biondo che ondeggia nel vento è un quadro dipinto,
dove una collina con vigneti degrada in una oliveta così ben curata che sembra disegnata da un architetto,
fra i monumenti a cielo aperto, fra le nostre città comunque ricche di storia, di ricordi, di sole,
nel nostro mare mediterraneo che sfuma tutte le tonalità del blù,
in questo paese che ama ridere e divertirsi,
in questo paese ricco di eccellenze alimentari uniche al mondo,
in questa meravigliosa terra che noi non onoriamo abbastanza:
noi viviamo in questa terra, in questa mondo,
ma non ne apprezziamo fino in fondo la bellezza.
è la storia del grano arso, gren jars in dialetto pugliese (ringrazio Aurèlie Scarafino per la dizione precisa), prodotto tipico antico di questa magnifica regione della terra italiana.
in tempi antichi, dopo la mietitura del grano, si bruciavano le stoppie per ripulire il campo per la semina dell’anno seguente. i latifondisti concedevano ai contadini di raccogliere i chicchi di grano caduti dalla semina e rimasti in terra, affumicati dopo la bruciatura. questo è il grano arso, e da questo grano si otteneva una farina scura, affumicata che serviva per fare pane e pasta, per mettere insieme il difficile pasto quotidiano.
adesso il grano viene affumicato al punto giusto, la bruciatura rende la farina cancerogena, e macinato.
ma il profumo è lo stesso, intenso, pieno, di vita vera.
immaginatevi la mia meraviglia quando, arrivando al mio solito supermecato trovo un nuovo scaffale intero di una nota marca di farine di qualità: ho comprato di tutto.
al diavolo l’idea che bisogna non accendere il forno, che le farine d’estate danno le farfalline, che bisogna aspettare che rinfreschi: grano arso, integrale macinata a pietra, tipo 1, tipo 2, di forza 400 w, tutto, ho comprato tutto!
e questo è il risultato, un pane con un profumo incredibile, un pane di una sofficità estrema e con una crosta croccante e saporita.
INGREDIENTI
500 g.
licoli rinfrescato 3 volte
350 g. acqua
100 g. di farina di grano arso
100 g. di farina integrale macina a pietra
400 g. di farina macina a pietra tipo 1
farina tipo 0 a necessità
10 g. di sale – FACOLTATIVO
nella ciotola della planetaria sciogliere il licoli insieme a tutta l’acqua
velocità 1 per un paio di minuti gancio a foglia
miscelare le farine e setacciarle insieme
aggiungere al lievito lentamente con gancio a vel. 1
aumentare la velocità a 2 e far girare per
almeno 10 minuti
gli ultimi 5 minuti a vel. 3
se necessita l’aggiunta di farina tipo 0 aggiungete molto lentamente
a cucchiai, nel mio impasto 3/4 cucchiai ci sono voluti.
IO NON METTO SALE
nel mio pane per una questione puramente romantica
e di abitudine, a Firenze il pane è “sciocco”, cio’ senza sale***
una volta impastato nella planetaria ribaltare il tutto su un piano infarinato
e fare le pieghe a cerchio: dall’esterno della pasta portare i lembi all’interno
facendo una palla serrata.
lasciar lievitare al coperto, io uso ancora il forno ma senza la luce
adesso che le temperature si sono alzate.
per questa lievitazione sono bastate 3 ore e mezza.
riprendete l’impasto e dategli la vostra forma:
io ho diviso in due, allungato la pasta in due lunghi cordoni rotondi,
li ho messi uno accanto all’altro e li ho intrecciati piegandoli a metà
su se stessi facendo questa specie di treccia.
ho fatto rilievitare, poco più di un’ora è bastata
una oliva in cima e in fondo per abbellire,
un pomodorino, una zucchina o quello che preferite
ho cotto per 10 minuti a 250°C con vapore,
40 minuti a 180°C,
gli ultimi dieci minuti ho girato la treccia e cotto sempre
a 180°c ma con il forno fessurato.
queste invece sono le prove per le schiacciatine:
formate delle palline, schiacciatele con le dita e lasciate lievitare
una volta lievitate premete ancora con le dita
per fare dei piccoli crateri, condite con una emulsione
di olio, acqua e sale e con pomodorini interi o
tagliati a metà.
in forno a 250°C per una decina di minuti e altrettanti a 180°C
una delizia
Chiudo con una considerazione: in Italia abbiamo così tanti prodotti meravigliosi, così tante eccellenze che sceglierne una su tutte è difficile.
questa ricetta partecipa al contest delle mie amate
“La Cucina Italiana nel Mondo verso l’Expo 2015”,
organizzato da Le Bloggalline, in collaborazione con
un piatto della cucina regionale
domani è il solstizio d’estate:
buon grano a tutti!!!
con Panissimo, la raccolta mensile di Giugno siamo da Valentina, Impastando si impara,
con una bella sorpresa per la migliore ricetta che sarà omaggiata dal Molino Grassi con le loro farine
e spedisco questa ricetta anche dalla nostra collega polacca, Zapach Chleba
*** ci sono due versioni per l’inizio della panificazione senza sale a Firenze
una versione dice che Firenze ha cominciato a produrre pane senza sale a seguito dell’embargo a sue spese effettuato da Pisa intorno all’anno 1100, l’altra invece parla di gabelle imposte dal governo della città fra cui una in particolare, la tassa sul sale, che ha spinto i cittadini fiorentini a fare di necessità virtù e a cominciare a panificare senza sale.