ricordi.
sono cresciuta a Pontassieve, piccolo centro della provincia di Firenze.
15 km ci separavano dalla capitale dell’arte.
eppur essendo un paese industriale, c’erano tante belle fabbriche e tanti laboratori artigianali allora, era ancora un paese di campagna.
essere bambina a Pontassieve, e parliamo di quarant’anni fa, è stato magico ripensandoci ora.
con il treno eri a Firenze, nel mondo, in venti minuti eppure vivevi in campagna.
alla fine delle case c’erano solo campi, vigne e frutti fioriti.
la Sandra-bambina ero piuttosto “ribelle”: più che giocare con le bambole io giocavo con la terra, più che tirare fuori i serviti da caffè della nonna io giocano a nascondino fra le vigne.
e siccome, strano ma vero, da bambina ero restia a mangiare, non era una delle mie primarie necessità, ricordo mia nonna che mi urlava dalla finestra per farmi fare merenda. pane appena fatto con lo zucchero e il vino, pane con la marmellata, schiacciatine ancora calde… povera donna, ripensandoci adesso si è dannata l’anima per farmi ingrassare di qualche grammo. ma io dovevo giocare, leggere, scorrazzare più che mangiare. poche erano le cose di cui ero ghiotta all’epoca.
nei lunghi pomeriggi,
dopo scuola i giochi diventavano avventure. le spedizioni di Star Trek erano all’ordine del giorno. eravamo sempre le stesse, tre o quattro maschiacci nell’anima, vestiti da bambine.
lungo la Sieve, il nostro fiume, c’erano gli orti sociali.
lunghe file di orti ordinate e compiute, con baracche e baracchini, filari di alberi da frutto, cipolle, cavoli.
e noi andavamo in esplorazione.
partivamo di pomeriggio, subito dopo la scuola, quando il sole era alto e cocente (ma chi ferma delle piccole belve di dieci anni?) e andavamo all’orto di Salvatore, così si chiamava il terreno.
c’era un cancello di ferro arrugginito, delle scalette che scendevano e ti portavano direttamente sotto la strada, quasi al pari del fiume. e quando aprivi il cancello di ferro e scendevi le scale eri già dentro l’avventura.
e le giornate non finivano mai.
quando ti prendeva fame bastava affacciarsi ad un orto e chiedere, qualcuno che ti allungava una mela o qualcosa d’altro lo trovavi sempre, oppure in estrema necessità c’erano sempre i finocchi selvatici da sgranocchiare per togliersi la sete.
il grano maturo di giugno diventava il nostro cielo pieno di stelle, i pozzi erano i nostri pianeti, e le galline erano i nostri nemici da rincorrere fino a che ti mancava il fiato fra risate e coccodè disperati delle povere.
inutile dire che quanto si tornava da queste scorribande “stellari” eravamo da prendere e infilare in lavatrice, graffiate, sbucciate, sporche e puzzolenti di sudore, di corse, di risate.
perchè ridevamo tanto inventandoci le nostre storie distese sull’erba con il naso e gli occhi verso le stelle invisibili di giorno: ma erano lì, erano lì per noi, per farci sognare, per farci giocare.
era diventata una storia a puntante, ogni giorno un’avventura diversa con il capitano Kirk e tutto l’equipaggio, sulla nostra astronave a curvatura, via verso nuove scoperte e nuove avventure.
sulla strada del ritorno, stanche, sporche ma felici, magari ci si fermava da Cecchino a comprare 50 lire di liquirizie: topini, rotelle, cestini, more rosse e nere…..o una sfogliatina al bar dietro le mura.
adesso Cecchino, il piccolo negozio tutto vetrina e leccornie gestito da padre centenario, Cecchino appunto, e suo figlio quasi sessantenne, ha chiuso i battenti da chissà quanti anni.
c’è un deposito di non so che cosa al suo posto. e non c’è più nemmeno il cinema Italia che era lì vicino e neppure più il Carletti, uno dei bar più famosi del paese per le sfogliatine fiorentine.
perchè ogni bar a Pontassieve aveva la sua specialità: il Ruggini i bomboloni con la crema, il Torrini i budini di riso e il Carletti… il Carletti le sfogliatine alla crema con il candito di arancia dentro.
adesso c’è la Banca di Credito Cooperativo al suo posto.
ma me lo ricordo, era un grande bar con un bancone di legno scuro e tutti gli specchi dietro, a me piccina mi sembrava enorme e così scuro. ma me lo ricordo ancora il rumore della pasta sfoglia ricoperta di zucchero che cantava sotto i denti, il profumo del candito affondato nella crema che usciva quando arrivavi al cuore della sfoglia, me lo ricordo ancora il sapore. era una delle cose più buone del mondo.
a Firenze e a anche a Pontassieve le sfogliatine vanno sempre di moda ma io come quelle non le ho più mangiate: sarà il ricordo che le rende così meravigliose?