Pane semi-integrale alla segale con alveolatura moderna

Pane semi-integrale alla segale con alveolatura moderna

e adesso, cara a mia Nyx, bruciamo tutto.

sali su quel maledetto tavolo e balliamo, bruciamo tutto e balliamo, ho bisogno di te.

ho bisogno di essere irriverente e ribelle, ho bisogno di te.

Alors on dance !!!

bruciamo gli errori, le cattive idee, i ricordi sbagliati, gli occhi che ci hanno giudicato e che ancora ci provano, bruciamo chi ci vuol castrare per farci essere più cedevole .

bruciamo tutto Nyx e…… Alors on dance.

senti la musica Nyx e balla come se non ci fosse un domani, se non ci fosse ieri ma ci fosse solo ora, solo qui.

ci balliamo sopra, sopra tutti quei maledetti ricordi che ci incatenano e ci tengono prigioniere.

alors on dance, su questo maledetto tavolo, e smettiamo di colorarci di nero per brillare di meno, smettiamo di brillare a metà per non dare nell’occhio.

smettiamo, io e te, di essere diverse da quello che siamo, brilliamo come ci viene naturale, togliamo i veli e gli schemi che ci siamo inchiodati addosso e usiamo quelle ferite per brillare ancora di più.

e pace se rimangono abbagliati, pace, non possiamo più trattenerci, saranno affari loro.

e alors on dance, danziamo sulla vita, danziamo con la vita.

facciamo quello per cui siamo venute in questa vita: amiamo come se non ci fosse un domani, bruciamo ogni resistenza, incendiamo il corpo e la mente e vibriamo in sintonia con l’universo, senza freni, senza limiti perchè d’amore  non si muore, si vive!

Pane semi-integrale alla segale con alveolatura moderna

Musica Consigliata per l’Impasto

Wodkid, Iron

Per un pane rustico, forte, pieno di carattere… ci vuole una musica che batta al suo stesso ritmo

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Pane di Segale 100%

Ricetta in Purezza

Pane di Segale 100%

È scuro. E non chiede il permesso.
Non si apre come un fiore, non profuma di burro, non si lascia accarezzare.
Il pane di segale ti guarda dritto, come gli occhi di chi non ha più bisogno di sorridere.
È terra.
È nord.
È fame che ha imparato a bastarsi.
È l’ombra fertile sotto la neve.

Nessuna mollica soffice, nessuna vanità. E’ solido, importante, rassicurante e affidabile.
Solo peso. Solo spessore. Solo la lenta, dignitosa trasformazione del grano oscuro in nutrimento.

Impastarlo non è un gesto da cuochi allegri, ci lasci l’anima mentre impasti.
È un rito.
Un rituale che sa di tempi lunghi, di silenzi, di madri.
Un impasto che si muove come lava e resiste come corteccia.

Non si maneggia la segale, si amalgama con l’acqua e poi si lascia li, nel suo stampo foderato in frigorifero, per 12 ore minimo. È un tempo che sa di meditazione forzata, di lezione di umiltà. Non puoi accelerare il processo, non puoi barare, non puoi controllare. Devi solo avere fede che quella cosa apparentemente senza speranza diventerà pane. E mentre aspetti, ti rendi conto che forse il mondo andava meglio quando anche noi sapevamo aspettare così, senza fretta, senza ansia, con la fiducia cieca nel potere trasformativo del tempo.

Chi lo mangia senza ascoltarlo, non lo merita.
Chi lo taglia senza rispetto, si perde la lezione.

Il pane di segale non si gusta: si contempla.
Si lascia posare sulla lingua come si lascerebbe posare una verità.
Ruvida, ferrosa, umida di memoria.

Mangiarlo è fare pace con l’ombra.
E scoprire che sotto la crosta, c’è una dolcezza profonda,
amara come la vita vera. E’ ritrovare le radici, la forza, la verità.

Questo è un pane che non fa concessioni: 100% segale integrale, niente farina bianca, niente compromessi.
Fermentato con lievito madre, cotto in forma, lasciato maturare prima del taglio.
La segale lavora a modo suo: non fa rete glutinica, non si incorda, non si impasta come le altre.
Qui si mescola. Si lascia riposare. Si accompagna con pazienza.
E poi si inforna in una culla che ne contenga la forza umida, pesante, viscerale.
Il risultato? Un pane denso, aromatico, scuro.
Che si conserva a lungo. Che si affetta sottile. Che migliora giorno dopo giorno.

Pane di Segale 100%

La segale deve essere di quella buona, io l’ho comprata al Molino Grifoni di Castel San Niccolò durante il ritiro di 3 giorni di Pane & Parole

COLONNA SONORA CONSIGLIATA

Promise, Ben Howard

Un impasto lento merita una musica che gli somigli: profonda, organica, con un ritmo che cresce come una lievitazione silenziosa. Mettete su questa canzone, accarezzate la pasta con calma… e lasciate che sia il tempo a fare il resto.

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Tartare di Verdure Crude alla Mediterranea con crema di ricotta e origano

Tartare di Verdure Crude alla Mediterranea con crema di ricotta e origano

Non è più estate, è delirio. È come se qualcuno avesse preso il concetto di luglio, l’avesse infilato in una stufa a gas e poi avesse detto: “Buona fortuna, terrestri!”. Quel qualcuno, ne sono certa, è Pluto. Non il pianeta. Pluto il cane, quello dei cartoni – ma impazzito, ora regna su una fornace solare e soffia ondate di caldo con la lingua di fuori e lo sguardo folle. Lo maledico amabilmente e con amore ogni notte, mentre cerco un’ombra sul pavimento e il basilico si arrende piegandosi come un vecchio stanco, mi guarda e sussurra “addio Sandra….”.

Eppure, dentro questa apocalisse termica, c’è un piccolo miracolo. Le verdure. Crude, lucide, colorate come un sogno liquido, resistono alla tirannia del fuoco. E allora io mi arrendo: spengo i fornelli, congelo ogni idea di zuppa, e mi affido all’unica certezza che mi resta — l’orto. Un orto visionario, che parla con la voce delle melanzane e mi suggerisce soluzioni poetiche mentre sudo in silenzio.

Così è nata lei, Tartare di Verdure Crude alla Mediterranea con crema di ricotta e origano. Ma chiamarla “tartare” è come chiamare una sirena “pesce con ambizioni“: non le rende giustizia.

È un incantesimo a temperatura ambiente. È il modo in cui il peperone si fa gioiello, il cetriolo si traveste da acqua di fonte e la cipolla rossa si mette il rossetto per ballare con l’olio extravergine.

È tutto tagliato piccolo, ma non piccolo dentro. Anzi, ogni dadino contiene un mondo. I pomodori sembrano ridere mentre li affetto, le pesche parlano francese, il basilico canta in napoletano. C’è chi dirà che è solo verdura tagliata. Ma sono le stesse persone che non vedono i miraggi nell’asfalto, che non ascoltano il suono delle zucchine crude quando le mordi, che non capiscono la potenza di un filo d’olio gettato nel silenzio di un piatto bianco, quelle che non hanno fantasia insomma.

Questa ricetta non cuoce, non grida, non pretende. Si lascia accarezzare.

E allora benvenuti, entrate. Qui c’è ombra, freschezza, colore. E c’è una tartare che sembra una favola raccontata da un pomodoro al tramonto.

È dolce, un po folle, come chi sogna a occhi aperti nelle ore più afose del pomeriggio. È la risposta gentile a un’estate sbagliata. È la mia piccola vendetta luminosa contro Pluto e le sue fiamme.

musica per il refrigerio

DeVotchKa, How It Ends

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